mercoledì 28 gennaio 2009

Michel Ney, Maresciallo di Francia

Elvis non è morto? Fate questa domanda a qualche fan del "Re" di ritorno da un pellegrinaggio a Nashville e probabilmente verrete assaliti da una sequela di teorie alternative, su come gli alieni preservino la semiobesa figura del cantante che ancor oggi si esibisce in qualche galassia lontana lontana, o magari fa il postino in sudamerica, complice il programma protezione testimoni della CIA.
Ma è proprio necessario assumere un atteggiamento di scetticismo di fronte a simili teorie?
Forse qualcuna delle morti più illustri della storia moderna e contemporanea non è mai avvenuta, nella maniera e nei tempi tramandatici. E' il caso del Maresciallo Ney?
Chi di voi ricorda il rosso figlio di un bottaio assurto alla massima carica militare della Francia Napoleonica? Fucile in mano, coperto dal pesante cappotto a proteggere la retroguardia nella disastrosa ritirata di Russia nel 1812, eroe sfortunato ed avventato nei Cento Giorni, in cui condusse la cavalleria dell'Imperatore in folli cariche contro gli ordinati quadrati di fanteria inglese, a Waterloo. Bene, col ritorno della monarchia finì davanti al plotone di esecuzione, a cui lui stesso diede l'ordine, secondo le cronache, di aprire il fuoco. Ma ci sono fondati motivi di credere che la sua vita non finì con lo sguardo fisso nella canna di dodici moschetti, bensì molti anni dopo, in un letto, nel nuovo continente.
Complice l'aiuto di Sir Arthur, lo stesso Wellington artefice della sconfitta francese, venne espatriato in gran segreto per approdare in America e costruirsi una carriera da insegnante. Ma non riuscì a mantenere l'anonimato a lungo; il suo accento francese, il cognome mantenuto forse per eccessivo orgoglio, le indelebili tracce di due ferite di guerra, le sue abilità di cavaliere, contribuirono ad insinuare il dubbio tra i suoi allievi e tra la popolazione.
Anche in punto di morte, avvenuta ben più avanti di quella di Napoleone, le sue ultime parole furono per il collega Bessieres e per la vecchia Guardia Imperiale.
Successe davvero o il nostro redivivo non era altro che un imbroglione? Magari uno dei tanti veterani troppo legati alla tragica epopea post giacobina. Il feretro dell'imperatore fu riportato in patria da Sant'Elena diversi anni dalla morte. In quell'occasione i veterani della Vecchia Guardia, emarginati dalla Restaurazione, costretti a vivere in indigenza, privi di una anche minima considerazione sociale, dissotterrarono dalle cantine i loro colbacchi, appuntarono sul petto le croci smaltate della Legion d'Onore e sfidarono il freddo, morendo a decine assiderati, solo per montare un'ultima volta la guardia davanti al feretro. Chissà se dall'altro capo dell'oceano il nostro "Ney" apprese la notizia e si ricordò di quando, vestito d'oro e di blu, aveva seguito un piccolo corso dallo strano accento nel fango e nello splendore, portando le aquile a spasso per l'Europa...

1 commento:

Anonimo ha detto...

Complimenti un bell'articolo per il grande Michel Ney, il prode dei prodi.